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L'Etna e il cinema
La forza vulcanica della terra e la potenza dionisiaca dell’opera di Pasolini - di Riccardo Di Salvo e Claudio Marchese -

Ci sono terre anonime come persone vestite sempre alla stessa maniera. Il loro paesaggio è prevalentemente grigio, monotono, adatto alla vita impiegatizia. La Sicilia è esattamente il contrario. E’ sempre “vistuta a festa comu na vera signura”. E, come una signora consapevole del proprio fascino, posa sorniona, sa farsi guardare. Poi, quando si offre al visitatore, al “cuntinintali”, gli viene incontro, senza scomporsi, con occhi verdeazzurri , come i suoi fondali marini, screziati di pagliuzze d’oro o tenebrosi come le sue notti dove le stelle sembrano stille infuocate. Ma in un attimo la signora sorniona s’impadronisce del visitatore e gli salta addosso come una tigre sapiente. Lo graffia, senza fargli del male. Anzi, gli fa del bene, lo invita a fermarsi e a lasciarsi andare al fascino impudico dei suoi 3000 anni circa di arte e di cultura. Tutto in quest’isola è un canto sensuale e danzante. Innanzitutto il suo corpo non è piatto, la signora è tutto meno che anoressica. Ama molto il cibo e il sesso. La Sicilia è sinuosa. Dalle pendici dell’Etna ai Faraglioni della riviera dei Ciclopi. Dalle valli etnee a volte rosseggianti di lava, ai bianchi lidi playa che scendono dolcemente fino a inabissarsi nelle acque verdi come le alghe che restano incollate sulla pelle dei bagnanti, come chiome di ninfe alcyonie, la Trinacria appare tutta un curvarsi di crinali arsi dal sole che hanno il colore della sabbia del deserto tunisino, e di macchie di vegetazione pungenti di fichi d’India e profumati di oleandri bianchi, rosa, rosso porpora. Nulla è monotono, anche nel ripetersi di quel ritmo arcaico rurale e marinaresco che ci ricorda il mondo delle novelle “Vita dei campi” di Verga. Qui non è mai stato cancellato, nemmeno in una città metropolitana come Palermo o Catania, in cui il traffico assomiglia tanto a quello milanese, prima della costruzione della terza metropolitana e delle isole pedonali. Ma è soprattutto l’Etna il prodigio dello scenario naturale siciliano. Vera e propria “montagna incantata”, per dirla alla Thomas Mann, il vulcano sembra in stato di quiescenza. In realtà è sempre pronto a incazzarsi, a buttar fuori il mostro che si nasconde nelle viscere della terra. E, quando succede, affascina e domina isolani e “cuntinintali”. Capiamo allora perché gli antichi, che avevano un forte senso dell’eros, divinizzarono non solo l’erezione ma anche l’eruzione. I Romani non chiamavano forse “religio” questo senso favoloso di stupore e di terrore di fronte allo scatenarsi delle forze naturali? Sembra che il grande cono montuoso diventi il corpo di un dio che arde e distrugge. Ce lo dice l’etimologia stessa del suo nome che deriva, come dice, lo speleologo catanese Francesco Andronico, dalla parola greca “aiteos”: monte che brucia o arde. Esso risale al secolo VIII a.C., quando la Sicilia fu colonizzata dai Greci e divenne Μεγάλη Ἑλλάς o Magna Grecia. Anche il nome dell’Etna storicamente ha subito trasformazioni linguistiche. Ai tempi della conquista saracena, viene chiamato “Giabal Huthamet”, che in arabo vuol dire “monte di fuoco”. Ma nella mitologia popolare del vulcano è rimasto impresso il nome “Giabal” o “Gibel” che, unendosi al sostantivo monte, divenne “monte Gibel”. Poi a partire dall’XI d.C. secolo, divennne “monte Gibello” e, in tempi più recenti “Mungibeddu” o a “Muntagna”. Il vulcano ha assistito, dunque, dall’alto della sua maestosa potenza eruttiva, la storia multietnica della splendida “signura du Mediterraneu”. La Sicilia non è solo un’isola separata dal continente. Questa lontananza chilometrica dalla penisola italiana è una delle ragioni del suo fascino. Basta osservare il suo cielo continuamente attraversato dagli aerei. Basta osservare il mantello verde – azzurro del suo mare e lì vedi muoversi navi maestose come il mitico Titanic, ma sai che navigano in acque di rado tempestose e non andranno mai a scontrarsi contro un iceberg. Tutto in quest’isola è un meraviglioso sposalizio dei quattro elementi primordiali: terra e acqua, fuoco e aria. Anche quando il cielo estivo è infuocato e la terra è così arsa dal sole da farci venire sensazioni di inaridimento, l’armonia dei quattro elementi è stabile. Ciò che, invece, può far paura è il vulcano. Il mitico Etna, che la leggenda vuole sia la fucina del dio del fuoco. L’idea stessa di un monte che si copre la cima con un cappello niveo, mentre sulle sue pendici sembra già primavera, anche a gennaio incute davvero un senso panico di fascino e terrore. Il gran monte digrada su una delle costiere più belle del Mediterraneo, che va da Messina a Capo Passero. Gli antichi Romani dicevano “De gustibus non est disputandum”. Noi invece vogliamo discutere di quell’atteggiamento esterofilo che molti Italiani esibiscono, compiaciuti, quando fanno i turisti in Sicilia e poi non esitano a fare confronti snob con le Canarie e le Maldive. Senza nulla da rimproverare a queste isole, ci sembra culturalmente povero lo snobismo che, nella nostra memoria cinematografica, ci ricorda quello della “sciura” milanese interpretata magistralmente da Mariangela Melato nel film “Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto” di Lina Vertmüller. Quanti Italiani sono così! Lo snobismo separa ancora l’ignorante – arrogante (ce ne sono tanti, ahinoi), da quelli che conoscono il significato etimologico della parola Kalòn che gli antichi Greci intendevano come fusione perfetta di un corpo, nella sua bellezza muscolare e nella sua divina grazia. Non dimentichiamo che il più grande vate dell’antichità, il poeta cieco ma veggente Omero, nel IX secolo a.C. cantò il fascino della Sicilia “Qui senza che si semini e si solchi/col vomero la terra, orzo e frumento/ch’alta ha la chioma crescono, e le viti…”. Un altro grande vate latino, l’eneico Virgilio dedicò versi meravigliosi all’Etna, descrivendo l’approdo di Enea nell’isola dei Ciclopi “Intanto il vento e il sole ci lasciano stanchi/e ignari del cammino approdiamo ai lidi dei Ciclopi/il porto è al riparo dall’impeto dei venti…”. Dal grembo dell’antichità classica, Tucidide e Pindaro, Diodoro Siculo e Paolo Orosio, tutti hanno commentato il fascino dell’Etna. Agli albori del moderno l’olimpico Goethe, stanco del gelido cielo germanico, venne in Sicilia e s’innamorò dell’isola “la terra dove fioriscono i limoni”. Il filosofo dionisiaco dell’Ottocento, Friedrich Nietzsche, gioiva all’ascolto della musica solare di Bellini, mentre il tedesco Wagner, da cui comunque imparò molto nella rilettura della tragedia greca, gli apparve infine insopportabilmente tetro e nevrotico. Cambiamo musa e veniamo all’ultima delle belle arti: il cinema. Potremmo scrivere un saggio sui film girati in Sicilia, dal viscontiano “La terra trema” al “Gattopardo” dello stesso autore, da “Il giorno della civetta” diretto da Damiano Damiani al pasoliniano “Porcile”. Quest’ultimo film fece scandalo, quando uscì nel 1969, come del resto accadeva per i precedenti film del genio di Casarsa. Sicuramente è il film più dionisiaco di Pasolini. Racconta due storie parallele in cui il comune denominatore è il cannibalismo, metaforicamente inteso come attrazione perversa per la carne umana, oggetto di desiderio, ma anche di appetito. L’aspetto che sicuramente inquietò di più la censura è l’attrazione sessuale per i porci, gli animali considerati i più laidi del genere. Il film girato sul terreno lavico e scabroso dell’Etna, è un’allegoria della società umana, sia arcaica che moderna «La società, ogni società, divora sia i figli obbedienti che i figli né disobbedienti né obbedienti» (Pier Paolo Pasolini). / ©Riccardo Di Salvo – Claudio Marchese / © Foto di Fabrizio Cavallaro / da un'idea di Riccardo Di Salvo / art director Riccardo Di Salvo / modelli: Salvatore Natangelo, Massimo Ficicchia, Dario Borzì, Giuseppe Cannavò, Cristiano Cuccia, Manuel Sully, Tony Caniglia, Rosario Giuffrida