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L'Eros secondo Pasolini
Le notti vulcaniche e misteriose di Pasolini a Catania / Teatro – orgia e sadomasochismo virtuale - di Riccardo Di Salvo e Claudio Marchese

Ci sono artisti la cui opera è intessuta su un binomio indissolubile: Eros – Thanatos. Un binomio che è alla base della religione greca arcaica, dove lo scatenamento delle forze vitali sotto forma di ebbrezza sessuale sconfina, senza sensi di colpa, nella morte. Non capiremmo nulla di Pasolini, senza l’intuizione della profondità di questo intreccio vita – morte. Ebbe illustri maestri: Baudelaire, in primis, poi tutta la scuola che va dai grandi eretici come Caravaggio fino ai moderni Bataille e Genet i quali trasformarono Eros e Thanatos nell’ansia mistica della carne che si trasfigura in un godimento che la supera e raggiunge la luce dello spirito. Dai primi romanzi come “Ragazzi di vita” e “Una vita violenta” da “Amado mio” e “Atti impuri” fino allo sconcertante libro “L’Usignolo della Chiesa Cattolica” l’idea dell’Eros come iniziazione alla vita assume una forte connotazione mistica. E’ un corpo a corpo che non trova mai una mediazione, ma sfocia sempre nel dramma cristiano che subisce con piacere masochistico una crocefissione. Così nell’arte, come nella vita. Il poeta di Casarsa era ossessionato dall’idea della propria diversità e la viveva come peccato, corsa sfrenata e violenta verso la morte. Il teatro della sua vita fu costruito in funzione di quello della morte. Come D’annunzio aveva scelto di recitare la propria decadenza in un lento scorrere dentro il fiume notturno, così Pasolini anticipa la propria tragica scomparsa, trasformando la danza leggera di Dioniso nella pesante emorragia di Cristo. Scrittore poliedrico, capace di entrare dal genere narrativo per entrare in quello poetico. Inventore di un teatro anti – borghese che negli anni della "Jeunesse en colère" si collegava a quello contemporaneo e carnevalesco di Genet, Pasolini diventò profeta scomodo, a modo suo vate, di un’Italia che usciva tumultuosamente dal disastro bellico e si avviava superficialmente verso l’omologazione mediatica. Celebri le sue invettive dantesche, da vero pedagogista, contro la morale di massa che sconvolgeva i valori arcaici del mondo rurale, sull’altare del consumismo neocapitalistico. Un vate eretico, dunque servo di nessun regime né di Destra né di Sinistra. La prima volle togliere il diritto di parola al cantore del mondo rurale che detestava l’ "American way of life" introdotto dagli Americani negli anni della Guerra fredda. La seconda lo aveva già imbavagliato nel 1949, quando Pasolini rese di pubblico dominio la propria omosessualità a un PCI stalinista che non esitò a espellerlo dall’insegnamento. Pasolini è accompagnato dall’alone del maledettismo fin dall’inizio della sua vocazione poetica che lo considerava un pericolo alla morale pubblica. Tuttavia lui continuò per la sua strada, scandalizzando l’Italia borghese, prima con la narrativa poi con il cinema e con il teatro. Ogni suo film da “Comizi d’amore” al “Vangelo secondo Matteo”, dal “Decameron” a “Teorema”, da “Porcile” girato sulle pendici etnee, fino all’ultimo e più crudele di tutti uscito postumo “Salò o le centoventi giornate di Sodoma”. L’ultimo scandalo pubblico di una vita vissuta con estrema coerenza. La tragica morte all’Idroscalo di Ostia il 2 novembre 1975 spaccò in due il Paese catto – comunista. La notizia fu sulle prime pagine di tutti i giornali e negli occhielli di tutti i TG. Pasolini divenne il mostro per eccellenza, il diverso da demonizzare, soltanto perché frequentava in modo seriale i ragazzi di vita da lui descritti con cristiano amore. La sua icona fu circondata da un alone ambiguo che, col passare del tempo, trasformò il poeta maledetto in un santo della cultura post – moderna. *Uno strano destino accompagna ancor oggi Pasolini. La sua morte è stata ricostruita secondo gli stereotipi del giallo, come la sua vita era stata rivoltata come un guanto da un sarto impietoso. Il poeta delle borgate romane fu considerato subito vittima di un attentato sessuale, compiuto da un ragazzo romano, Pino Pelosi. Ma parve subito una strana versione: come poteva Pelosi da solo massacrare un uomo giovane e atletico come Pasolini? L’indagine fu estesa a una serie di personaggi collegati con l’estrema Destra romana che avrebbe pagato Pelosi come marchetta d’alto bordo. Ma pare non fosse estranea la Sinistra comunista che aspettava il momento di togliere di mezzo l’eretico, già colpevole di aver detto troppe verità scottanti sul Palazzo del potere. Recentemente si torna a parlare di Pasolini, sembra il suo destino, ogni volta che vengono messi sotto accusa ingombranti personaggi degli anni Settanta. Quelli che furono chiamati i famigerati “anni di piombo”. Oggi che lo scandalismo non fa più scandalo perché è diventato solo gossip da negozio di shampista, fa notizia il fatto che si sia riaperto il “processo Pasolini”. Di quel provinciale, pedagogo del popolo inurbato in una Roma violenta, si torna a discutere in un recente libro del giornalista Domenico Walter Rizzo “Nessuna pietà per Pasolini” (Ed. Riunite). Trentasei anni dopo la sua morte, i media lo tolgono ancora dall’armadio come uno scheletro scomodo. Lo scandalo risale a galla. Questo libro racconta una faccia dell’esistenza di Pasolini sfuggita, come sabbia al vento, dai suoi memorialisti più ortodossi. Risulta che Pasolini abitasse a Catania, in via Firenze, negli anni in cui girava alcuni dei suoi film più scandalosi. Che cosa faceva di notte l’austero regista, che di giorno non abbandonava mai il set? Si pongono tante domande sfuggite ai suoi biografi. Il cineasta aveva un rapporto erotico con la città etnea. Frequentava la Catania notturna, vitalistica ma anche fascista. Lo affascinavano, più dei borghesi di Ordine Nuovo, i sottoproletari, lussuriosi marchettari che non esitavano a fare i picchiatori, pagati dall’MSI, l’estrema destra di allora. Dopo la riapertura del processo, le notizie della sua “dolce vita” catanese, riaprono un capitolo oscuro che potrebbe anche invalidare le conclusioni del processo romano, un po’ troppo sbrigativamente rimosse. Ma già se ne parlò ai tempi del processo al reo – falso – confesso Pino Pelosi, quando la grande giornalista e scrittrice Oriana Fallaci, rifiutando di darne le fonti, rivelò di una “spiata” fattale su un’ automobile targata Catania che avrebbe seguito l’Alfa di Pasolini fino all’Idroscalo, per l’imboscata di più persone che avrebbero massacrato Pasolini. Chi erano? Fascisti? Delinquenti picchiatori pseudo - mafiosi assoldati da chi temeva la voce di Pasolini e volle farlo tacere per sempre? Monarchici ispirati dal clima d’odio razzistico e omofobo di quei tempi, di stampo missino? O il clan delle marchette romane a cui infastidiva il regista friulano per tutte le domande e i discorsi che faceva ai giovani borgatari con cui si accompagnava nelle sue notti brave? Il mistero, come la notte, si addice a tutti i grandi poeti. Il sacrificio di Pasolini è l’estrema conseguenza della masochistica attrazione per la morte. *L’educatore del popolo che amava il mondo emarginato dei “Ragazzi di vita” e di “Una vita violenta”, era in realtà un intellettuale borghese estremamente colto, acuto lettore di Marx e di Freud e di quella fusione decisamente eretica dei due autori che produsse l’opera di Marcuse “Eros e civiltà”, cui capitolo finale s’intitola “Eros e Thanatos”. Pasolini utilizzò il capitolo marcusiano, per spiegare un’opera teatrale messa in scena al Teatro Stabile di Torino il 27 novembre 1968, proprio nell’anno storico della contestazione che il genio di Casarsa definì una ribellione borghese fatta dal ceto medio contro il Sistema. Una ribellione insomma dei “figli di papà”, non una rivoluzione popolare. L’opera in questione scandalizzava già nel titolo “Orgia”. Una delle opere eccelse del teatro pasoliniano. I personaggi, che Pasolini chiama l’ Uomo e la Donna, sono una proiezione autobiografica dell’autore stesso. Più che personaggi nel senso verista del termine sono emblemi dell’inconscio poetico che viene a galla attraverso una lunga sequenza di parola – canto. Quella che, nel teatro espressionista tedesco, assomiglia a una Via Crucis. Mai come in “Orgia”, Pasolini si è tolto tutti i velli della cultura borghese, per tornare alle origini arcaiche del teatro greco. Sappiamo dalla straordinaria rilettura di Nietzsche che la tragedia greca che ancora oggi viene messa in scena all’aperto nei teatri di Siracusa e di Taormina, nasce dall’orgia dionisiaca, in cui il dio dell’ebbrezza erotica fa delirare le baccanti e alla fine viene da loro sbranato. “Orgia” di Pasolini non ha una vera e propria azione drammatica. E’ un teatro di poesia, come le tragedie dannunziane. Qui Pasolini esprime in forma allusiva la propria nostalgia per l’Italia pre – industriale, dove la collettività era coesa dai riti folckorici, come il Carnevale, la Pasqua, la danza popolare, la mietitura del grano e la vendemmia. Il dialogo tra l’Uomo e la Donna enuncia “il piacere di tremare” e “il piacere di essere umiliati”. Sulla scena non si consuma la violenza gratuita che oggi abbonda in molte pellicole del cinema sadomaso. Quella di Pasolini è una violenza infernale che si consuma in uno spazio chiuso, claustrofobico, anticipatore del film dell’addio del regista. L’Uomo non esita a chiedere alla Donna una forma di piacere perverso, sadomasochista. E’ l’incarnazione del Dioniso greco che nel teatro pasoliniano non viene più sbranato dalle baccanti, ma si incammina verso una forma di martirio che è tipica della religione cristiana. Sembra una profezia della trasgressione del mondo post – moderno dove l’orgia non è più una forma di comunione erotica ma un’esibizione spettacolare e adatta a un pubblico voieurista. © Riccardo Di Salvo e Claudio Marchese. E' vietata la riproduzione anche parziale del saggio a meno che non si indichi la fonte e gli autori (legge 22 aprile 1941, n. 633 (LDA) e successive modificazioni) *Pubblicato su "LUImagazine", "Cronache italiane", "Sipario" info@riccardodisalvo.it / info@claudiomarchese.it (© Foto di Fabrizio Cavallaro, da un'idea di Riccardo Di Salvo. Art director Riccardo Di Salvo. Modelli: Toni Caniglia, Salvatore Natangelo, Giuseppe Cannavò, Dario Borzì)