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Guerra omosex
Iran. È morte nelle chat-room gay: Abu Hamizi non cerca nuovi amici, cerca le proprie vittime

Da un reportage shock del domenical e britannico “The O b s e r v e r ” , emerge che dall’inizio dell’anno gli estremisti islamici hanno ucciso oltre centotrenta uomini gay o presunti tali. Per scatenare l’ira omicida basta semplicemente vestire “all’occidentale”. Distrutti e chiusi i diversi locali LGBT, i fondamentalisti si affidano alla rete per scovare gli omosessuali della città. A capo di uno dei gruppi omofobi c’è Abu Himizi, un informatico ventiduenne che passa la propria giornata su internet a caccia di ragazzi gay. Chattando instaura con il malcapitato un’amicizia virtuale, poi, quando ha conquistato la sua fiducia, gli propone un appuntamento vero e proprio. All’incontro, come si può immaginare, non si presenta da solo… Nel “migliore” dei casi la lista dei sospettati viene affissa sulle pareti di ristoranti e negozi; l’intento è quello di stuzzicare non solo le maldicenze delle gente, ma addirittura atti di violenza o di razzismo. Nel peggiore invece i ragazzi vengono barbaramente torturati e uccisi. “E’ il modo più semplice per trovare coloro che distruggono l’Islam e che vogliono sporcare una reputazione che abbiamo impiegato anni a costruire - ha detto Abu, aggiungendo - gli animali meritano più pietà delle persone luride che praticano questi atti sessualmente depravati. Ci assicuriamo che sappiano perché sono stati catturati e che chiedano perdono a Dio prima di essere uccisi” Azhar al-Saeed, madre di uno dei giovani seviziati racconta: “Mio figlio non seguiva la dottrina islamica, ma era un bravo ragazzo. Tre giorni dopo il suo rapimento ho trovato un biglietto insanguinato sulla porta di casa con un messaggio che diceva che era il sangue purificato di mio figlio e dove avrei rinvenuto il corpo. Lo abbiamo trovato con i segni delle torture, con l’ano pieno di colla e senza i genitali. Conserverò quell’immagine nella mia mente fino alla morte”. Il “diverso” da sradicare è l’omosessuale, ma il passato insegna… Ricorderete tutti che il presidente dello Zimbabwe, Robert Mugabe, iniziò la sua campagna di odio contro gay e lesbiche considerando questi ultimi “gente senza diritti”; nel giro di alcuni mesi alla sua lista aggiunse i giornalisti, i sindacalisti, i vecchi proprietari terrieri… Non è solo una lotta contro l’omofobia, questo comportamento rischia di attaccare tutte le minoranze. È dal 2006 che le associazioni dei diritti umani denunciano il problema alle autorità, ma la polizia locale non si è mai concessa il lusso di investigare nonostante le diverse sollecitazioni avallate dai tanti documenti che manifestano l’autenticità delle accuse. Il risultato? Una continua escalation di soprusi e crudeltà. I militanti anti-omosessualità indisturbati continuano con le loro brutalità, la pratica di incollare gli ani degli uomini sospettati di essere gay è all’ordine del giorno. Un caso analogo riguarda Hashim, gli estremisti l’hanno malmenato, mutilato e minacciato di morte; per aver salva la vita gli è stato imposto di sposarsi e adottare uno stile di vita tradizionale entro un mese. Dodge per Observer spiega: “La violenza contro i gay è una conseguenza imprevista del successo del governo di Nouri al-Maliki. I gruppi di miliziani, la cui ragione di essere era il mantenimento della sicurezza nelle loro comunità, vedono ora quella funzione esercitata dalla polizia. La loro attenzione si è quindi spostata sulla sfera culturale e morale, con un ritorno alle classiche tattiche di controllo dei confini morali”. Noi non parleremmo di “ conseguenza imprevista”... non si scopre oggi che essere gay è (ancora) considerato un reato in quasi tutti i paesi dell’Islam e le pene vanno dall’anno di reclusione previsto in Libano e in Siria, ai dieci anni nei Territori palestinesi /Bahrein, fino alla pena di morte che può colpire gli omosessuali di Iran, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Yemen. Secondo un’associazione gay irachena con base a Londra, dal 2004 ad oggi sono stati uccisi più di 680 omosessuali, 70 solo negli ultimi cinque mesi.