Arte

 
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Realtà, finzione, bellezza: una premessa
Tra arte, moda, fotografia e cinema...

La fotografia racconta, scrive, descrive. Alla scrittura con la luce sono state attribuite, dalla sua nascita, innumerevoli capacità. Tra queste la prima, forse la più importante, è quella di raccontare la realtà. Scrittura con la luce è anche il cinema. I primi films, dai fratelli Lumière a Edison, non erano altro che brevi documentati, votati a raccontare frammenti di realtà: i Lumière registravano l’arrivo di un treno in stazione o l’uscita degli operai dalle loro officine, Edison riprendeva lo starnuto di un amico. Di lì a poco cambierà tutto. Il cinema ci farà andare sulla luna con Méliès, e da lì in poi si dedicherà a raccontare storie, credibili o meno, iniziando a muoversi sui binari della dimensione narrativa: non più racconto di realtà, ma racconto di finzione. La fotografia seguirà un percorso simile, ma non identico: sempre persone, paesaggi e cose, ma contaminati solo in parte dall’urgenza narrativa propria del cinema. Esempio di questo divario tra cinema e fotografia (e del loro rapporto con la registrazione del reale) è il lavoro del barone Von Gloeden, che agli inizi del secolo passerà molto del suo tempo a Taormina per fotografare la prorompente virilità dei ragazzi siciliani. Una virilità che la nobiltà e l’alta borghesia dell’epoca avevano volutamente dimenticato, nascondendola e rendendola parte del mito, col risultato di allontanarla per sempre dalla storia. La ricerca del corpo mitico inteso come forma di purezza assoluta rispetto a quello storico sarà uno dei temi dominanti del ‘900, fino a Pasolini ed oltre, ed è tuttora un discorso aperto. Minimo comun denominatore estetico: la pornografia. Fin dalla loro protostoria cinema e fotografia si sono interessate al corpo, e quindi alla sessualità. Le foto pornografiche e i filmati licenziosi che circolavano all’inizio del secolo ci fanno capire quanto la realtà sia impregnata di sensualità e fisicità. La maschera e l’ombra Ritenevo questo premessa, spero non troppo prolissa, un necessario cappelo esplicativo alle immagini che ho realizzato per questo editoriale. Il mio presente di fotografo professionista e il mio passato di studente di storia del cinema mi hanno insegnato molte cose, ma più di ogni altra tengo sempre a mente la lezione dei sofisti greci appresa al liceo. Primo: la realtà e la verità sono due cose diverse. Secondo: la comprensione della realtà è un percorso difficilissimo, figuriamoci il raggiungimento della verità, ammesso che la verità esista. Terzo: se è così difficile comprendere la realtà e quindi la verità, come mai potrò comunicarla? Per realizzare le immagini che state vedendo avevo a disposizione un ragazzo di bell’aspetto e un bravo truccatore. Un corpo, un trucco, una macchina fotografica. Avrei potuto abbellire ulteriormente il modello, levigarne i già morbidi lineamenti, e via dicendo. Non l’ho fatto. Credo che ne sarebbe risultato un lavoro piacevole a vedersi, certo, ma forse un po’ usuale. Ho quindi preferito deturpare un bel viso, mascherandolo. Oltre al mio piacere, puramente ludico, c’era anche l’intento di far salire il personaggio-modello allo status di persona. Un po’ come se tutti noi ci mettessimo allo specchio e ci cancellassimo il viso per cerca nel nostro sguardo molte domande e qualche risposta. Io l’ho fatto indirettamente, come osservatore e registratore di immagini: per questo amo il mio lavoro. Tra le molte immagini scattate in questi anni mi capita, a volte, di vedere la maschera di qualcuno nell’ombra, e di potergliela togliere, aggiungendone un’altra. Alla fine sono io che gioco. Non so se questo gioco mi avvicinerà alla realtà, o se addirittura mi farà percepire qualche frammento di verità. Intanto io mi diverto. Francesco Astolfi www.francescoastolfi.com